Altmejd – Juices
DAVID ALTMEJD
JUICES February 1- March 8
Andrea Rosen Gallery 525 w24th Street, New York 2014
IMMAGINE-SCATOLA
“Sentirsi come una scatola…le immagini vogliono chiudere l’uomo in una camera isolata, egli vi deve
entrare”1. L’installazione dell’artista canadese, imponente e allo stesso tempo fragile come un filamento di vetro, occupa quasi completamente la sala della galleria e vi s’innesta graminacea con il suo volume saturando lo spazio percorribile dallo spettatore cosicché egli non può che esserne parte attiva, inscritto-costretto anche dalla trasparenza e dal gioco degli specchi in una serie d’immagini convergenti e divergenti dove traboccano i qui e gli altrove.
L’utilizzo del cristallo è decisivo in questo per la sua proprietà di moltiplicare e dare così l’apparenza di
qualcosa che cresce senza sosta, un’operazione di fioritura dal tono barocco; lo stesso artista parla del
proprio lavoro come di ongoing activities, essere cioè nel modo di un eccesso di trasporto, di una
circolarità incessante che non esaurisce ogni possibile discorso.
Da una parte all’altra possiamo attraversare questa immagine-scatola, intra-vedere questo cristallino
luogo-caverna dove il soggetto-cosa si fa labirintica concrescenza di elementi, chiude, per dirla con
Nietzsche, in una stessa cornice il repertorio di tutti i toni; un accumulo di piccoli gesti, quasi congelata
successione di tempi rallentati, temporeggiamenti di una muscolarità che attraversa lo spazio tracciandolo.
L’estensivo contro la profondità: in questa miriade microscopica che assomiglia all’universo proposto da
Bataille, ossia come forma di tela di ragno o di sputo, ogni cosa risponde ad un compito di attualizzazione piuttosto che ad una ricerca del significato; uno stato molecolare come lo intende il filosofo Gilles Deleuze, d’intense masse-dinamismi che scelgono, con piacere dell’artista, le proprie linee di forza e fuga; un regno di riflessività, in cui ogni materia è in cerca della forma perfettiva implicata in essa. Il lavoro segue una dinamica essenzialmente plastica, una vera deflagrazione, non spettacolo ma
successione di funzioni operative binarie, tendere-distendere, contrarre-dilatare, comprimere-esplodere,
e di sequenze-operative animali, scavare, graffiare, azioni di trascinamento e resistenza: serie di
accadimenti che sfuggono al riposo, perforano e martellano i piani, tramano, sia nel significato di tessere, pensiamo ai filamenti fluorescenti che attraversano i piani e indicano come un flusso sonoro-energetico dell’opera, che in quello di bucare, con parti che entrano ed escono, come i fori-traccia lascati sulle pareti del plexiglass dal passaggio-lancio della frutta che poi si incastra nel muro della galleria stessa:dinamica quindi, anche di Relazioni sotto forma di prensioni, ovunque mani umane ed animali, che operano una presa sull’oggetto-desiderio.
1 WALTER BENJAMIN, Sull’hascisch, Einaudi, Torino 2010, p. 101.
Dinamica anche sonora, appello al senso dell’udito; la caverna-cristallo è solcata dalla vibrazione sonora
che acquista un ruolo quasi organizzatore degli elementi 2 ; se vi è un soggetto, è l’operazione stessa di
auto-sorvolo, come direbbe il filosofo Gilles Deleuze, che consente al soggetto, di vedere tutti i dettagli
del suo(no) proprio nel campo in cui esso viene a trovarsi simultaneamente.
Conosciamo la nostra potenza di conoscere solo se tratteniamo-manteniamo più cose unite tra di loro, solo se sublimiamo processi quali indigestione, avvelenamento ed intossicazione, scrive Spinoza, e questo sforzo di formazione è evidente nella successione di Altmejd che sottolinea del proprio lavoro
l’importanza di rappresentare gli oggetti nella sua arte, come infettati.
Procedere per contagio; figure antropomorfe, teste, insetti, minerali, sezioni di frutta, sezioni animali,
un’incessante logica aperta dell’intruso biologico, tutto è im-pressione dell’uno sull’altro, trasformazione e rimescolamento molecolare; ogni traiettoria di sorvolo nell’opera esprime la doppia valenza del verbo
francese raisonner come ragionare-risuonare.
Disseminato in processione tra gli elementi del piano di composizione, l’artista inserisce l’insetto
formica, una sorta di perce-oreille (fora orecchie), in un’infaticabile ondulatoria ed erbosa operazione di
aggiramento tutt’intorno agli oggetti. Posto come un dispositivo meccanico in attesa di essere
disinnescato, assume su di sé una valenza binaria: come operazione sull’interno, aggressore del limitecosa, roditore dei noccioli della frutta e come operazione dall’esterno, quale elemento perfora timpani umani. Un lussare l’orecchio che, come sostiene Derrida, significa evitare la contestazione frontale ed immettere così una simmetria obliqua di percorrenza dell’opera, sotto forma di imboscata.
Formicolante e fuggitiva sensazione di accerchiamento all’interno di questo cavernoso, luogo
geometrico dove si congiungono divinità ctonia, insetto foratore di noccioli, matrice in cui si forma la
voce 3
IMMAGINE-IMBOSCATA
Non è un territorio per l’addomesticazione. Il corpo deve imporsi una strategia di rovesciamento e di
impossibilità, come preso alla gola, solcato e trascinato, seguire passaggi, soglie, circuiti e congiunzioni
che lo costringono ad una inesauribile concatenazione, a percepirsi sotto scacco ed infaticabile
trasformazione: il filosofo Glissant parla della Relazione come sforzo senza limiti del mondo, in uno
stato che sfugge al riposo, ma anche stato di agguato , in questa installazione che è, di fatto, una giungla
assoluta.
2 Cfr. J. DERRIDA, Margini, Einaudi, Torino 1997, p.15.
3 M. LEIRIS, Biffures, Paris 1948 (trad. it. Biffures, Torino 1979, pp. 75 sgg.), in Ivi, p.15.
Il gioco barocco creato dai cristalli e dagli specchi includono lo spettatore, lo assorbono, lo portano
persino allo smarrimento; queste linee di volo o di sviluppo, simili a piante rampicanti, aggirano,
avvolgono e coinvolgono come rigogliosi intrecci di ri-combinazione e fioritura ogni punto di vista e
posizionamento dell’oggetto, come un margine che lo isola ed allo stesso tempo, quasi elegantemente,
lo soffoca, trascinandolo nell’incessante corrente vitale in attesa di un colpo di dunque.
Assistiamo alla nascita di territori dominati da figure incerte e nomadiche, non addomesticabili, in cui
anche un singolo organo va in cerca del suo(no) mondo; scrive Canetti: “vorrebbe orecchie disposte
diversamente, ciascuna di esse per mondi diversi, e tutto ciò che fosse necessario ad entrambe nel
cervello”4. Tutto vuole reagire ad una logica con l’animale che desidera costituire un proprio territorio, un dominio dell’ “avere”; tutto vuole rispondere al minor numero possibile di eccitanti, visivo, olfattivo,
tattile; tutto vuole aggirare l’ipotesi di un centro di trasmissione, di convergenza del dato, braccare il
pensiero, impegnarlo piuttosto, in una corsa a perdifiato, una cinetica o cinegenetica, per dirla con
Derrida, il pensiero, come cinematografia di una persecuzione.
4 ELIAS CANETTI, Aforismi(per(Marie-Louise,Adelphi,Milano 2015, p.13.